Disabitudine all’immaginazione - Franco Berardi, Bifo.

Delle cose in se stesse noi non sappiamo niente.
Però siamo molto sensibili alla loro posizione
Ossip Mandelstam, Entretiens sur Dante.


Una lunga disabitudine ci ha allontanato dalla comprensione delle dinamiche essenziali che impoveriscono la nostra vita, che precarizzano la nostra percezione, e tendono a ridurci ad automi psicopatici.
La lunga disabitudine alla comprensione è anzitutto disabitudine all’immaginazione. L’immenso sovraccarico di immagini a cui siamo sottoposti come lavoratori e come consumatori paralizza paradossalmente la nostra capacità di immaginare. Immaginare diviene pratica passiva. Non siamo più capaci di immaginare perché diveniamo meri consumatori di immaginario. Così abbiamo cominciato a dimenticare la critica dell’economia politica, e abbiamo finito per diventare passivi oggetti dell’economia.
Il cubo-capitale assorbe entro di sé la nostra mente perché non siamo più capaci di pensare ma solo di reagire mentalmente a stimoli che provocano catene di reazioni semi-automatiche.

Il lavoratore mentale non può pensare fin tanto che il suo pensiero è trasformato in lavoro. La fantastica metamorfosi che investe la forma complessiva del capitale nell’epoca videoelettronica non ci allontana da Marx perchè la critica dell’economia politica non aveva « previsto » questa trasformazione (al contrario la aveva immaginata concettualmente nelle sue pieghe più intime, come vedremo). Ci allontana da Marx perché al lavoratore mentale è interdetta la possibilità di pensare in maniera autonoma, di pensare in maniera che non sia modellata dagli automatismi mentali che compongono il capitale nella sua forma immateriale.

Come leggere oggi il Capitale.
Dobbiamo dunque inventare nuove forme per leggere Il Capitale (di Marx) e così riprendere a immaginare le metamorfosi sociali come possibili evoluzioni fuori dalla sfera di dominio del capitale (in uscita dal cubo, seguendo linee di fuga capaci di suscitare azione autonoma intelligente laddove vediamo solo automatismo stupido e patogeno).

Il Capitale è una favola che illumina la prateria infinita della miseria contemporanea.

Il tempo di vita è trasformato in ripetizione valorizzante. Questo è il primo passaggio che dobbiamo capire. Quello che Marx ha raccontato fin dalla prima pagina del Capitale appare oggi sotto una luce nuova, nell’infinito caleidoscopio delle forme di attività che producono valore. Un caleidoscopio infinito, frammentario e ricombinante, che spezza la continuità affettiva del tempo in minuscoli frammenti di tempo senza vita, tempo che si vende al mercato, che si distacca dal corpo per vivente per diventare parte della casa di specchi dalla quale non sappiamo più uscire.

Il flusso temporale si frantuma in ansiogeni frammenti impersonali che si possono vendere e comprare in pacchetti ricomponibili secondo procedure che noi non posseidamo. Il nostro tempo si frantuma e ci sfugge, non è più nostro tempo ma valore a noi estraneo. Non è il lavoro che si precarizza, ma la vita. Il lavoro è ricombinato dalle macchine, dalla rete universale di circolazione del valore.

Non serve a molto dimostrare l’assoluta attualità dei concetti elaborati nelle pagine del Capitale. Là dentro troviamo i concetti e le parole che ci permettono di comprendere il funzionamento complessivo dell’attività umana trasformata (impoverita, sottomessa) alla forma del lavoro salariato.
Il modo migliore di leggere quelle pagine, di comprendere il funzionamento di quei concetti è oggi quello di vedere l’immaginazione al lavoro. Non dovremmo dimenticare che Marx non si occupa di economia, bensì di critica dell’economia politica. Cioè critica del modo in cui l’attività umana viene costretta entro forme fantsmatiche, immaginarie, linguistiche, che si attaccano alle cose, si sovrappongono ai gesti, li modellano, li semiotizzano, fino a creare degli automatismi.
Le categorie economiche di Marx sono chiavi per la decifrazione del carattere storico, culturale, psichico (e non naturale) degli automatismi implici nella forma della merce, o del salario.

Immagini del Capitale vs Capitale immaginario.
Il modo migliore di rileggere oggi Marx consiste nel vedere i concetti, nel trasformare i processi in immagini, per cogliere le dissolvenze, le trasformazioni, le evanescenze. E’ il modo con cui è stato costruito GRENZE, una lettura artistica del Capitale di Marx. Le parole che Marx usa nel suo librone sono spesso fantasiose metafore che servono a illuminare (come illuminano le metafore) un insieme vastissimo di fenomeni, di atti, di intenzioni, di dimenticanze e di illazioni.

Gli economisti pretendono di affermare l’eternità delle categorie economiche. In tal modo impoveriscono il proceso, perdono di vista la violenza implicita nei rapporti economici, la violenza costitutiva della forma del lavoro salariato. Marx ha lavorato intorno ai concetti economici con assoluta consapevolezza del carattere transitorio e friabile di ciò che si pretende eterno.

Non si può prendere un concetto come quello di lavoro astratto, o quello di plusvalore relativo, come fotografie statiche. Sono interpretazioni fantastiche, cocnetti che tagliano un piano dell’essere con acrobatica invenzione, e permettono a folle di miserabili di riconoscersi in quel concetto, di prendere in mao quelle parole, di usarle come un grimaldello,per cogliere al di là delle parole la plasticità dei rapporti che esse sottendono.

Il Capitale di Marx non descrive il capitalismo, ma lo costruisce, lo mette in prospettiva, e alla fine lo sgretola, fornisce gli strumenti per comprendere il suo sgretolamento e per lavorare alla trasformazione.
Il modo in cui Marx parla di economia sta agli antipodi delmodo in cui ne parlano gli economisti. Marx intende rivelare.

Negli ultimi miserabili decenni, mentre l’umanità sprofonda inuna miseria crescente, mentre il tempo di vita si trasforma in tempo di schiavitù, mentre il salario reale crolla e il profitto aumenta, schiere di servi mentali hano lavorato alacremente a cancellare le tracce della comprensione, hanno lavorato ad affermare l’inevitabilità della miseria salariata, a naturalizzare ciò che è assolutamente culturale.

Il capitalismo è essenzialmente metamorfosi. Il gesto si trasforma in ripetizione, la ripetizione si trasforma in produzione di valore, il valore si trasforma in merce, lamerce si trasforma in schiavitù, la schiavitù si trasforma in categoria mentale, le categorie mentali si trasformano in catene. Le catene si trasformano in malattie. Ma in questo succedersi di metamorfosi si aprono serie divergenti, che on riusciamo neppure a intravvedere tanto siamo incatenati dall’abitudine mentale, dall’automatismo psichico e sociale.

La parola senza affetto.
La parola si è distaccata dal calore
affettuoso dei corpi, perciò non serve più
a comprendere, non serve più a mostrare
la provvisorietà, la violenza, l’inutilità di
ciò che si presenta come eterno.
Allora dobbiamo riprendere l’operazione
che Marx compie nel Capitale attraverso
le immagini, i fantasmi, le dissolvenze e
le generazioni impreviste.

Questo fanno gli autori di GRENZE. La parola tedesca grenze significa tra l’altro : il limite in quanto frontiera che separa due campi e che per definizione è possibile attraversare. GRENZE dunque significa frontiera superabile, frontiera che separa ma al tempo stesso collega.

GRENZE è una serie di letture visuali a partire dal Capitale di Marx libro 1. GRENZE è una visione delle metamorfosi che compongono la serie pratica delle trasformazioni del capitale (la trasformazione del tempo di vita in lavoro, la trasformazione del lavoro in valore, la trasformazione del valore in una catena di automatismi dalla quale non siamo più capaci di uscire.

Il capitale è qui raffigurato come un cubo in continua trasformazione. La merce è raffigurata come una larva e i corpi viventi del lavoro sono raffigurati da un triangolo, la figura operaia che si trasforma nellì’impoverimento.

Ma la trasformazione più essenziale, quella che sta all’orizzonte dell’opera GRENZE è la trasformazione della coscienza, che nell’epoca videoelettronica diviene possibile solo come trasformazione dell’immaginare.



Une perte de l’imagination - Franco berardi, Bifo.


Des choses elles-mêmes, nous ne savons rien,
mais nous sommes en revanche très sensibles à leur position.
Ossip Mandelstam, Entretien sur Dante.


Un long oubli nous a éloigné de la compréhension des dynamiques essentielles qui appauvrissent notre vie, que précarisent notre perception, et tendent à nous réduire à des automates psychopathes. La longue perte de compréhension est d’abord une perte d’imagination. L’immense surcharge d’images auxquelles nous sommes subordonnés comme travailleurs et comme consommateurs paralyse paradoxalement notre capacité d’imaginer. Imaginer devient une pratique passive. Nous ne sommes plus capables d’imaginer parce que nous devenons de purs consommateurs d’imaginaire. Ainsi nous avons commencé à oublier la critique de l’économie politique, et nous avons fini par devenir des objets passifs de l’économie. Le cube-capital absorbe notre esprit parce que nous ne sommes plus capables de penser mais seulement de réagir mentalement à des stimulations qui provoquent des chaînes de réactions semi-automatiques.

Le travailleur immatériel ne peut pas penser finalement alors que sa pensée est transformée en travail. La fantastique métamorphose qui investit la forme globale du capital à l’époque multimedia ne nous éloigne pas de Marx parce que la critique de l’économie politique « n’avait pas prévu » cette transformation (au contraire elle l’avait imaginée conceptuellement dans ses plis les plus intimes, comme nous verrons). Elle nous éloigne de Marx parce qu’au travailleur immatériel est interdit la possibilité de penser de manière autonome, de penser de manière non modelée aux automatismes mentaux qui composent le capital dans sa forme immatérielle.

Comment lire aujourd’hui le Capital.
Nous devons donc inventer de nouvelles formes pour lire le Capital (de Marx) et ainsi recommencer à imaginer les métamorphoses sociales comme possibles évolutions hors de la sphère de domination du capital (sortir du cube, en suivant des lignes de fuite capables de susciter une action autonome et intelligente là où nous voyons seulement automatisme stupide et pathogène).

Le Capital est une fable qui éclaire la prairie infinie de la misère contemporaine.

Le temps de vie est transformé en répétition valorisante. Celui-ci est le premier passage que nous devons comprendre. Ce que Marx a raconté depuis la première page du Capital apparaît aujourd’hui sous une lumière nouvelle, dans l’infini kaléidoscope des formes d’activités qui produisent la valeur. Un kaléidoscope infini, fragmentaire et recombinant, qui brise la continuité affective du temps en minuscules fragments de temps sans vie, temps qui se vend au marché, qui se détache du corps pour vivre, pour devenir une partie de la maison aux miroirs dont nous ne savons plus sortir. Le flux temporel se brise en fragments anxiogènes et impersonnels qui peuvent se vendre et s’acheter en paquets recomposés selon des procédures que nous ne pas possédons pas. Notre temps se fragmente et s’échappe, il n’est plus notre temps mais valeur à nous, étranger. Ce n’est pas le travail qui se précarise, mais la vie. Le travail est assujetti aux machines, au réseau universel de circulation de la valeur.

Il n’est pas difficile de démontrer l’absolue actualité des concepts élaborés dans les pages du Capital. Là, nous trouvons les concepts et les mots qui nous permettent de comprendre le fonctionnement global de l’activité humaine transformée (appauvrie, soumise) à la forme du travail salarié.

La meilleure façon de lire ces pages, de comprendre le fonctionnement de ces concepts est aujourd’hui celui de voir l’imagination au travail. Nous ne devrions pas oublier que Marx ne s’occupe pas d’économie, mais plutôt de critique de l’économie politique. C’est-à-dire une critique du mode dans lequel l’activité humaine est forcée dans des formes fantasmatiques, imaginaires, linguistiques, qui s’attaquent aux choses, qui se superposent aux gestes, les modèlent, les sémiotisent, jusqu’à créer des automatismes. Les catégories économiques de Marx sont des clés pour déchiffrer le caractère historique, culturel, psychique (et pas naturel) des automatismes implicites de la forme de la marchandise, ou du salaire.

Images du Capital vs Capital imaginaire.
Le meilleur mode pour relire aujourd’hui Marx consiste à « voir » les concepts, de transformer les procès en images, pour cueillir les dissolutions, les transformations, les évanescences. C’est le mode avec lequel a été construit GRENZE, une lecture artistique du Capital de Marx. Les mots que Marx emploie dans ses cahiers sont souvent des métaphores pleines d’imaginaire qui servent à éclairer (comme ils éclairent les métaphores) un ensemble très vaste de phénomènes, d’actes, d’intentions, d’oublis et d’extrapolations. Les économistes prétendent affirmer l’éternité des catégories économiques.
De cette manière ils appauvrissent le procès, perdent de vue la violence implicite contenue dans les rapports économiques, violence constitutive de la forme du travail salarié. Marx a travaillé autour des concepts économiques avec l’absolue conscience du caractère transitoire et friable de ce qui se prétend éternel.

On ne peut pas prendre un concept comme celui de travail abstrait, ou celui de plus-value relative, comme photographies statiques. Ce sont des interprétations fantastiques, des concepts des cocnetti qui coupent un plan de l’être par une invention acrobatique, et permettent à des foules de misérables de se reconnaître dans ce concept, de prendre en main ces mots, de les employer comme un grimaldello, instrument malicieux pour cueillir au-delà des mots la plasticité des rapports qu’ils sous-tendent.

Le Capital de Marx ne décrit pas le capitalisme, mais il le construit, il le met en perspective, et à la fin l’effrite, fournit les moyens pour comprendre son effritement et pour travailler à sa transformation. Le mode dans lequel Marx parle d’économie est aux antipodes du mode dont parlent les économistes. Marx entend révéler.

Dans les dernières misérables décennies, pendant que l’humanité se précipite dans une misère croissante, pendant que le temps de vie se transforme en temps d’esclavage, pendant que le salaire réel s’écroule et que le profit augmente, s’alignent des esclaves mentaux travaillant vite à rayer les traces de toute compréhension, travaillant à affirmer l’inéluctable de la misère salariée, à naturaliser ce qui est absolument culturel.

Le capitalisme est essentiellement métamorphoses. Le geste se transforme en répétition, la répétition se transforme en production de valeur, la valeur se transforme en marchandise, la marchandise se transforme en esclavage, l’esclavage se transforme en catégorie mentale, les catégories mentales se transforment en chaînes. Les chaînes se transforment en maladies. Mais dans ceci se succèdent des métamorphoses qui ouvrent des séries divergentes, que nous ne réussissons même pas à fouiller tant nous sommes enchaînés à une habitude mentale, à un automatisme psychique et social.

Le mot sans affect.
Le mot est détaché de la chaleur, attaché aux corps,
ne servant plus à comprendre, ne servant plus à montrer
la « provvisorietà », la violence, l’inutilité
de ce qui se présente comme éternel.
Alors nous devons reprendre l’opération
que Marx a accomplie dans le Capital à travers
les images, les fantômes, les dissolutions,
et les générations imprévues.

C’est ce que font les auteurs de GRENZE. Le mot allemand grenze signifie entre autre : la limite en tant que frontière séparant deux domaines et que par définition l’on peut passer. Grenze donc signifie frontière à dépasser, frontière qui sépare mais au même temps relie.

GRENZE est une série de lectures visuelles à partir du Capital de Marx livre 1. GRENZE est une vision des métamorphoses qui composent la série pratique des transformations du capital (la transformation du temps de vie en travail, la transformation du travail en valeur, la transformation de la valeur dans une chaîne d’automatismes dont nous ne sommes plus capables de sortir). Le capital est ici représenté comme un cube en continuelle transformation. La marchandise est représentée comme une larve et les corps vivants du travail sont représentés par un triangle, la figure-ouvrier qui se transforme en s’appauvrissant.

Mais la transformation la plus essentielle, est celle qui est à l’horizon de GRENZE c’est la transformation de la conscience, qui à l’époque multimédia devient possible seulement pour transformer l’imaginaire.

www.rekombinant.org